martedì 29 aprile 2014

Medici senza vergogna

Anche questa settimana viene riportata una testimonianza molto importante, non solo perchè ancora una volta viene rappresentato il gentil sesso, ma anche perchè la storia si svolge oltreoceano e più precisamente in Brasile.
Protagonista della tragica avventura è colei che verrà nominata La Dottoressa Giò (in riferimento alla carriera professionale intrapresa dalla nostra ma anche un omaggio ad una Barbara D'urso in grande spolvero). Che cosa ci fa la Dottoressa Giò in Sudamerica? Forse ha deciso di prestare le sue competenze per qualche causa umanitaria, o forse sta intraprendendo un viaggio per verificare lo stato di uno dei sistemi sanitari più in crescita del mondo. Nulla di tutto questo: Giò è in Brasile a fare uno stage di danza.
Il viaggio è già stato organizzato di tutto punto prima della partenza e una volta che il gruppo arriva a Salvador de Bahia, la Dottoressa Giò viene letteralmente stipata insieme ad altre duecento persone in una palestra ed a questo punto è necessario fare un inciso molto importante. Detto il tipo di stage, non è stato specificato il tipo di danza: la Capoeira. Ora, la mia adolescenza è stata forgiata sugli insegnamenti che la Playstation ha generosamente voluto donarmi, quindi, quando io sento di parlare di capoeira non posso fare a meno di immaginarmi una schiera di Eddy Gordo di Tekken 3. A chi non accade lo stesso è segno di vecchiaia o infanzia terribile, l'ho detto.
Tornando a noi, la Dottoressa Giò, forte d'animo, gradisce la sistemazione di fortuna e anzi la considera un'occasione per la socialità, peccato che. Peccato che non fa i conti con il proprio apparato digerente che comunque avrebbe dovuto studiare; Il dramma è presto in scena. Giò, dopo una veloce perlustrazione, si rende conto con orrore che la palestra occupata da duecento persone dispone soltanto di quattro bagni. Tragedia.
A questo punto il medico più promettente del panorama europeo si fa prendere dal panico. Autodefinendosi “culo timido”, non riesce a trovare il bandolo della matassa per risolvere l'annoso rebus dell'evacuazione. Dopo concitati minuti, Giò trova la geniale soluzione approfittando anche di una caratteristica tipica femminile: poter trattenere il bandolo della matassa (o solo la matassa) per ore e ore e ore. Il piano è il seguente: assumendo un'espressione facciale più falsa di Giuda mentre intasca i denari, la Dottoressa Giò propone ad altre persone una veloce visita al moderno centro commerciale vicino alla palestra, “cosi, per far due passi”. Gli altri accettano senza sapere di essere diventati pedine di un vile tranello. Dopo qualche minuto di camminata, il gruppo di persone arriva dentro il lussureggiante centro commerciale e, appena passata lo porta d'ingresso, Giò si dilegua in una frazione di secondo bofonchiando parole come “casualità” “bagno” “pipì”. Si riunirà al gruppo ore dopo. Provata ma felice.

Non è dato sapere se le altre persone facenti parte della spedizione “Centro commerciale” abbiano mai saputo delle reali intenzioni della Dottoressa Giò. Quel che è importante sottolineare è che ancora una volta uno dei non-luoghi per eccellenza si sia rilevato una grande risorsa per l'individuo che si trova con le spalle al muro. In Brasile come nella grigia pianura padana, anche i Culi timidi hanno il loro approdo.


lunedì 14 aprile 2014

Marrone notte

Avviso all'incauto lettore: la seguente narrazione tocca dei livelli di disgusto solitamente evitati in questo rispettabile blog, ma il peso degli eventi impone un report crudo e frontale.
La testimonianza che viene a seguito riportata arriva questa settimana dalla Spagna, e più precisamente in quella che è notoriamente una delle città più bifolche della penisola iberica: Valencia. Protagonista dell'orrida situazione è colui che verrà chiamato El Chapo, riferito al noto capo del cartello della droga messicana, ovvero rude, vagamente sovrappeso e senza vergogna.
La situazioni è delle migliori: Botellon in una nota zona della città dove l'affluenza dei giovani virgulti desiderosi di lasciarsi andare per qualche ora è decisamente buona, tra questi vi è anche El Chapo con la sua allegra banda di amichetti. Descritto da questi ultimi come un tipo decisamente sopra le righe, El Chapo si distingue tra i presenti per il suo spiccato senso di testa-di-cazzaggine che lo porta, tra le altre cose, ad ingurgitare innumerevoli galloni di liquidi alcolici intervallati da ogni tipo di porcheria reperibile per strada e per il piccoli minimarket che costellano le vie di Valencia.
La festa si alza di livello e un gruppo di borrachones decide di spostarsi nell'elegante abitazione di uno degli invitati. Nel tragitto dalla piazza alla casa, El Chapo riesce a far scatenare una rissa con altri quattro Lords. Dopo alcuni educati scambi di cortesia, il nostro eroe riesce da solo a sbarazzarsi dei balordi e raggiunge trionfante la casa. Ma evidentemente lo sforzo della battaglia deve aver pesato perchè al Chapo crollano le gambe all'improvviso e, complice il maledetto mix nel suo stomaco, si accascia su un divano. Gli amici non osano destare il can che dorme cosi lo abbandonano su quel divano per ore. Purtroppo quegli stessi amici non notano che El Chapo ad un certo punto si alza dal suo giaciglio e si avvia verso il bagno. Dentro quello stanzino succedono cose inimmaginabili. La cronaca racconta che all'alba tutti se ne siano andati nelle proprie casa e che anche il proprietario stesso si sia diretto dritto dritto nel letto.
Il pomeriggio seguente accade la seguente scena: lo stesso proprietario si alza dal letto e mezzo rincoglionito se ne va verso il suo bel water, ma quando apre la porta dello stanzino si para davanti a lui una scena del delitto.
La prima occhiata va verso il water: nessuno vi è sopra appollaiato e il water stesso è in perfette condizioni. Rapido sguardo al centro dove il lavandino sembra essere stato risparmiato, ed ecco il dramma nella vasca da bagno. In questa ci sono tre cose, ognuna sbagliata a modo suo: un sacco d'acqua, inspiegabilmente qualcuno deve averla riempita. Secondo: El Chapo in stato d'incoscenza che dorme beato con tanto di vestiti e scarpe, ma soprattutto la terza: una strana paperella di gomma che in realtà non è paperella e non è nemmeno di gomma. Parafrasando Elio sembra proprio un dirigibile marrone senza elica e timone. Dramma. Urla. Pianti.

Purtroppo tutt'oggi non è ancora chiara la dinamica dei fatti e le domande senza risposta sono molte: chi ha riempito l'acqua? Il dirigibile quando è stato introdotto nella vasca? Prima dello svenimento del Chapo o addirittura prima che egli vi entrasse? Ma soprattutto, è davvero suo? Ci sono le basi per un nuovo libro di Dan Brown e purtroppo questa storia rimane senza un finale. Ma un mistero che ha caratteri biblici.


lunedì 7 aprile 2014

Condivisioni

Abito in una WG, ovvero in una casa condivisa che sta in un feudo turco all'interno di Berlino. Nell'appartamento vive oltre a me, una ragazza di teutoniche origini (che per questo verrà chiamata con un nome dei più leggiadri della cultura tedesca: Gudrun).
Una delle particolarità della nostra casetta è quella di avere un signor bagno, ovvero una stanza vera, con una finestra vera ed una doccia vera, qualità piuttosto rare da trovare nelle case della capitale e infatti questo è uno dei motivi per cui la casa mi è piaciuta fin dalla prima volta che l'ho vista.
La condivisione del bagno non ha mai dato nessun problema, il che è una grande fortuna per Gudrun che se avesse saputo non mi avrebbe nemmeno fatto entrare in casa; E' anche vero che prima o poi doveva succedere. In un sabato mattina come un altro (che la mia coinquilina chiama inspiegabilmente pomeriggio, saranno differenze culturali visto che erano le 14), sento il classico stimolone che proviene dal basso. Mi alzo dalla mia sedia e vado in bagno, che però trovo chiuso a chiave, pazienza, aspetto. Neanche il tempo di finire in pensiero “aspetto”, che sento il rumore della doccia che si accende, perfetto. Sto già sudando freddo.
Questa volta non è come il casa di Acciaia che posso bussare e cacciare chi c'è dentro (vedi qui), mi tocca aspettare e far partire la maratona di apnea, che, diomiosantissimo, durerà un'eternità: un mezz'oretta buona in cui alterno lo stare seduto in punta di sedia allo stare in piedi fissando il vuoto fuori dalla finestra con nel gambe a X. Finalmente una giustizia c'è, sento il classico “clak” della porta che si apre e io, manco fossi l'Usain Bolt dello sciacquone, scatto verso il bagno e con un'acrobazia sono già seduto sulla tazza ad espellere il maligno.
Fiero e tronfio, mentre sto ultimando i lavori sento la maniglia della porta che si abbassa, Gudrun se la trova bloccata ed è costretta a tornare indietro. Intuisco che forse non aveva finito di fare le sue cose e infatti quando esco dal bagno la trovo con un asciugamano in testa e mille spazzole in mano mentre tenta di riconquistare il bagno. Io nel mio stentato tedesco la avverto che forse sarebbe meglio aspettare qualche minuto, il tutto detto con il più falso dei sorrisi. Ma lei, intrepida, solida e teutonica, ne sfoggia un altro ancora più falso del mio ed entra nella stanza contaminata.

Da allora non l'ho più rivista.